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PRO LOCO MONTEFUSCO
VIA PIRRO DE LUCA
83030 MONTEFUSCO (AV)
TEL: 0825 1724332
Email:
prolocomontefusco@libero.it |
Pro Loco Montefusco
-> Carcere Borbonico
Castromediano Niccolà Nisco
Montefusco è conosciuta soprattutto per il suo carcere. Questa
triste notorietà è dovuta principalmente al nome di alcuni detenuti che
vi furono rinchiusi da Ferdinando II di Borbone nel 1852, e alle
terrificanti descrizioni che ne fecero, nelle loro memorie, due di essi,
il Castromediano ed il Nisco. Chi trase a Montefusco e pò se n´esce, po´
dì che nata vota ´nterra nasce!" La fantasia popolare trovò un´efficace
espressione in questo detto per sottolineare quanto cruda, inclemente e
spietata fosse la realtà per i prigionieri. Il Castromediano, il Nisco,
il Pironti, raccontano nelle loro memorie quel triste sotterraneo che li
ingoiò per così tanto tempo. I due corridoi erano bui ed umidi. Il suolo
era formato da ciottoli sconnessi e rividi tali che il camminarvi sopra
ricordava la tortura dei ceci sotto i piedi. Le pareti erano grondanti
d´acqua e piene di sudiciume. Topi, ragni ed insetti schifosi
sguazzavano in quell´atmosfera cupa che destava nei prigionieri una sola
sensazione: un presagio di morte.
IERI
Il "cibo" che di solito i galeotti mangiavano
era pasta sciolta che presto sarebbe divenuta poltiglia, cotta con un
grasso fetido e tagliuzzato, raccolta in rustiche scodelle di terracotta
slabbrate. Ai prigionieri che lo desideravano, e che potevano
permetterselo, era possibile farsi comprare in paese dei generi
commestibili come uova, frutta, pane. Molti, pur potendolo, rinunciarono
a questa facoltà per due inconvenienti che si verificavano: i carcerieri
si facevano pagare il cibo il doppio del costo normale; inoltre, alcuni
di tali generi, prima di essere recapitati ai detenuti erano
minuziosamente scandagliati, nel sospetto che contenessero spacci
clandestini, e quindi tagliuzzati da mani consunte e unghia sporche di
persone che non erano di certo avvezze alla pulizia. Ma la pena che i
detenuti soffrivano maggiormente era la solitudine. I soldati, i
gendarmi, gli aguzzini, il comandante, non rivolgevano loro nessuna
parola e se lo facevano erano soltanto bestemmie, rimbrotti e minacce.
Chiunque all´esterno mostrava benevolenza e compassione per gli
internati, o, anche inconsapevolmente, ne leniva in qualche modo i
patimenti, diveniva sospetto e dal sospetto alla sanzione il passo era
breve. I detenuti quindi erano sottoposti ad un severo regime di
sorveglianza, poichè il bagno penale era un carcere speciale, dove
venivano reclusi i "rei di stato". Essi, infatti, portavano delle catene,
inizialmente in coppia, poi singolarmente. Tra le punizioni impartite ai
prigionieri molto temute erano le cosiddette "legnate". Questa pena
consisteva nel picchiare il malcapitato sulle natiche con una corda
contorta, detta "mattascione", ammollata nell´acqua. Un´altra punizione
era il puntone, che consisteva in un grosso anello di ferro infisso nel
suolo, al quale il prigioniero veniva immobilizzato con una catena per
giorni e giorni. Molti non riuscivano a resistere agli inverni freddi e
desolati. I prigionieri trascorrevano la notte vestiti, avvolti nei
mantelli, abbracciati gli uni agli altri, per creare intorno a loro
un´atmosfera più tiepida, per non perire intirizziti dal gelo. La salute
restò irrimediabilmente minata e compromessa anche perchè le estati
afose erano sinonimo di epidemie debilitanti e spesso fatali. Non v´era
dubbio: avevano infossato quegli uomini con lo scopo di farli morire. Il
calvario di quelle anime nobili finì il 13 gennaio 1859 quando per
Decreto Reale venne loro commutata la pena
dell'ergastolo in quella dell'esilio perpetuo.
OGGI DOPO LA RESTAURAZIONE
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